Testimonianza di un missionario

di Andrea Landi

Da poco passati i miei primi 60 anni, un giorno il mio migliore amico (che proprio migliore non si può...!) mi fa una roposta che mai avrei immaginato di ricevere, e tantomeno - a quest'età- di accettare:
“Perchè non vieni con noi in Eritrea per una missione di Acqua per la Vita?"

Affascinante l'idea di un viaggio in missione. Un sogno accarezzato da tempo e da prendere al volo quando si affaccia l'occasione. Soprattutto se nell'occasione c'è compresa la possibilità di portare anche mio figlio Edoardo, 12enne, per dargli l'opportunità di poter vedere come vivono i giovani della sua età in altre latitudini...

Attese e fantasie si accavallano e la voglia di "partire" è sempre più forte. Qualche volta la presunzione è quella di "fare volontariato", come se in Africa mancasse proprio il pinco pallino di turno capace di risolvere i problemi e ristabilire la giustizia; altre volte il desiderio è quello di coltivare un'emozione, quella che ti potrà far dire agli amici: "Ho visto i poveri, ci sono davvero"; spesso c'è la ricerca, positivamente perseguita, di un mondo diverso, più "genuino", meno complesso e, soprattutto, "libero" perché, e lo dico ironicamente, la ricchezza appare come qualcosa che impoverisce ed è giusto liberarsene senza però perderla. Paradossale!

Ma tant'è! E' comunque vero che la voglia di missione è "sana", non fosse altro perché nasce da una scelta, da una decisione alternativa che, se coltivata e approfondita, è capace di compiere davvero miracoli proprio anche e soprattutto su SE STESSI. Questa occasione non può essere persa! L'accettiamo.

Decidiamo di partire. Di partecipare a questa missione di 'Acqua per la Vita' assieme ai nostri due angeli custodi – Vincenzo e Franca- e ad altre 4 splendide persone. Di andare per la prima volta in Africa, in uno stato – l'ERITREA- finora assolutamente sconosciuto!

Partiamo.

Ed ecco subito il primo luogo che - come già detto - la missione ci obbliga a toccare: SE STESSI.

Perché quelli che noi chiamiamo "territori di missione" non sono isole felici, ma terreni intrisi di umanità e molto spesso di un'umanità sofferente, segnata da una mancanza di libertà, riconducibile all'impossibilità di crescere culturalmente ed economicamente, schiacciata dal peso della precarietà e della fragilità della vita. La poesia fa alla svelta ad andare a quel paese e lasciare spazio alla realtà.
 Quel se stessi che si trova in missione fa parte del gusto di essere uomini, di percepire i propri limiti e di scoprire l'altro come una possibilità. È vero che ci verrà incontro manifestando la sua diversità rispetto a noi, persino la lingua, i modi di fare e gli sguardi ci saranno stranieri, ma non quella profondità di umanità che sarà ragione di incontro e di rispetto.
E qui la meravigliosa attraente e possente figura di Don Pietro si erge subito a fulgido esempio. La sua energia è contagiosa, il suo entusiasmo ti si appiccica sulla pelle e non riuscirai mai più a lavartelo via, la sua umana intelligenza che tanto lo fa grande ti fa sentire piccolo piccolo ma non per questo meno importante, la sua attività ed i suoi progetti ti destano viva ammirazione e voglia di dare una mano, il suo sorriso ti fa apparire tutto semplice e perfino fattibile, e la sua ospitalità ti culla e ti coccola che ti pare di non aver bisogno di nient'altro di più!
La sua direzione e guida della scuola salesiana in Eritrea dovrebbe essere considerata patrimonio dell'UNESCO!!
Ed è proprio qui che la scoperta di sè stessi immerge in una missionarietà che non fa riferimento a latitudini e longitudini, ma impara ad abitare ovunque con il cuore del viaggiatore e la sapienza di chi si lascia afferrare da ogni desiderio di bene.

 

Ed eccomi al secondo luogo della missione: il Bene.

Chi parte per una missione deve portare con sé il suo bagaglio di bene altrimenti non riuscirà a vedere se non buio, desolazione e povertà. Ma se gli occhi custodiscono il bene allora non sarà difficile cogliere gesti di squisita solidarietà, parole inenarrabili intrise di ospitalità e l'attesa, tanta, intensa, generosa di amicizia e di fraternità. La missione porta alla luce tutto ciò che è bene e si impegna a dargli un nome, una storia, un presente ed un futuro, una consistenza capace di interrogare e, molto spesso, convertire la vita.

Credo che nessuno di noi 8 fortunati potrà mai dimenticare niente del 3 marzo di quest'anno: la giornata dell'inaugurazione dell'acquedotto di Degra-Mereto, con il suo impianto fotovoltaico costruito e letteralmente montato in Piemonte prima di essere spedito laggiù, e quelle 6 fontane da cui sgorgava acqua pura!

Che gioia e che commozione vedere Edoardo bere direttamente da quella fontana...

E se già era stata molto intensa, suggestiva e piena di sentimenti ed emozioni la giornata precedente, quasi niente era stato rispetto alla festa con cui siamo stati accolti a Degra-Mereto.

Il giorno prima avevamo visitato il primo pozzo creato e donato da 'Acqua per la Vita' 15 anni fa ad un altro vilaggio, ancora oggi funzionante ed essenziale.

Il giorno dopo, a Degra-Mereto, ci hanno accolti con un tripudio di suoni e colori! Non l'esplosione di profumi e gusti, non lo splendore di tutti quei costumi, non la bellezza di tutti quei volti anche di quelli meno belli, non la profondità infinita di ognuno di quegli sguardi, non la caparbietà delle donne, non il fascino del sorriso di ogni bambino, non le 200 uova di gallina regalateci (e poi finite alla mensa delle case-famiglia di suor Pina), bensì le strette di mano, le fronti corrucciate nell'ascolto, l'emozione data dalla consapevolezza di trovarsi in un attimo indescrivibile ed irripetibile, il gesto del saluto, la fatica del cammino a cercare di rendere ragione di ogni risposta, ma soprattutto l'odore acre del sudore di centinaia di persone che si sublimava nel fondersi insieme.
E quelle parole, indimenticabili, dette dal capo tribù che ringraziava “da parte delle donne che potevano sperare di non dover più avere la schiena dolorante e piegata per il peso dell'acqua che dovevano portare. E da parte di tutti gli abitanti del villaggio costretti finora a bere l'acqua dei ruscelli dopo che le iene vi si erano abbeverate ed i muli vi avevano fatto dentro tutti i propri bisogni...”!


Così come altrettanto indimenticabile è stata la festa di accoglienza di Asetah, dove è previsto di attuare il prossimo progetto: alle danze e ai canti in nostro onore si è aggiunto l'esilarante e commovente spettacolo di giovani a piedi scalzi che correvano rocambolescamente dalla cima della collina per portarci divano e poltrone dove poter stare comodi ad assaporare ciò che ci offrivano...
Comprese 170 uova (anche queste date a suor Pina) e una capra e una pecora vive da portar via!

Ma non è finita qui!
Di eguale intensità, da far vibrare i cuori, è stato anche l'incontro con i bambini delle case-famiglia di suor Pina Tulino e delle sue consorelle. La forza, l'entusiasmo, la capacità di questa suora 79enne e soprattutto l'amore di mamma con cui segue e riempie la sua comunità di bambini poco fortunati (ma al tempo stesso fortunatissimi rispetto ai loro coetanei che non hanno avuto la possibilità di conoscerla...) sono esplose in lacrime pure che mi scorrevano sul volto nel vedere Franca e Vincenzo che assieme abbracciavano Maria, la piccola di recente da loro adottata, e continuavano a scorrere nel vedere con che grazia Edoardo, il mio piccolo grande uomo, teneva sulle ginocchia e coccolava Mariam, la bambina di 5 anni che aveva appena chiesto (e ottenuto!) di poter adottare...

VOGLIO SOLO CONCLUDERE CON UNA BREVE RIFLESSIONE.

Probabilmente il segreto di ogni missionario è proprio in quella quantità di amore alla vita che riversa ogni mattina nel cesto delle sue azioni. Non importa che si chiami don Pietro, o suor Pina, o Franca o Vincenzo. E non è importante che cambi il mondo, che risolva i problemi internazionali, che stabilisca nuovi tipi di relazione economica, e neppure che riesca a dare alla sua gente un posizione migliore, ma è assolutamente indispensabile che lasci percepire la grandezza affidata ad ogni vita umana nella possibilità di disegnare un orizzonte eterno.


E, chissà, forse proprio in questo luogo alla fine vuole condurci la missione con tutte le sue forze: il mistero di Dio.

Grazie, Vincenzo, per aver fatto sentire anche me, almeno per un istante di vita, un po' 'missionario'.


Andrea Landi